Nella socialorg cambia il rapporto tra organizzazioni e individuo: a quest’ultimo è richiesta capacità creativa e propensione ad affrontare la complessità, cercando strade ancora mai esplorate prima
di Alessandro Donadio*
Mi piace partire segnalando un video Ted molto interessante. Si tratta dello speech di Sir Ken Robinson, un didatta inglese che letteralmente smonta le logiche della formazione scolastica tradizionale. Queste, omologanti e generaliste, tendono a mortificare elementi come la creatività e la capacità di risolvere problemi complessi a causa di modelli che non lasciano esprimere al meglio la persona.
CHE COSA SERVE ALLE ORGANIZZAZIONI OGGI
Le dimensioni professionali oggi sono molto cambiate nelle organizzazioni. Ciò che può essere standardizzato e gestito con base tecnologica diviene processo in cui l’apporto della persona è davvero minimo per funzioni legate all’esecuzione, al fare.
I knowledge owner invece assumono un ruolo importante all’interno delle organizzazioni perché a loro si chiede di pensare, fare, risolvere i problemi e innovare. Tutte attività che chiedono una presenza forte della capacità creativa della persona e della sua propensione ad affrontare la complessità come fattore che genera opportunità.
Tale nuova tipicità del rapporto tra individuo e organizzazione, dove alla persona viene chiesto di entrare nel ruolo con una componente importante di soft skills e creatività, genera domande che non sempre hanno una risposta solida nel sapere tradizionale delle persone, delle comunità professionali e dell’organizzazione. Spesso la soluzione è innovativa e mai sperimentata.
In questo scenario la domanda è: come si interviene per sollecitare modelli di apprendimento che liberino queste risorse?
KNOWLEDGE STOCK E KNWOLEDGE FLOW
Possiamo semplificare dicendo che il sapere di cui necessita l’organizzazione è di due tipi:
sapere di stock: è il portato dell’esperienza organizzativa che viene formalizzato e reso disponibile alle persone che operano sui processi. Prende forma sostanziale di documenti (procedure, compliance, istruzioni), ma anche di modalità comportamentali ricorrenti e trasmesse come buone pratiche. Si tratta di un sapere esplicito e conosciuto;
sapere di flow: si genera mentre le persone risolvono problemi nuovi operando sui processi operativi. La conversazione è lo strumento con il quale questi saperi si articolano e divengono risorse per le persone, ma anche per l’organizzazione. Si tratta di un sapere sommerso o comunque condiviso fra le persone che in quel momento stanno affrontando un processo sfidante attraverso la messa in campo di pensiero generativo.
Un buon paradigma potrebbe essere quello di pensare al governo del sapere organizzativo come a un magazzino di logistica, nel quale gli stock sono pronti a uscire per essere consegnati, mentre il flow alimenta l’entrata di merce fresca che sarà poi resa disponibile alla nuova richiesta pertinente.
In gergo logistico si chiama Fifo (first in first out), con il quale il magazzino, in questo caso la dotazione di sapere, si rinnova continuamente.
QUINDI RACCOGLIERE O FORMARE?
La formazione è assolutamente necessaria nelle organizzazioni.
La domanda di presidio tecnico chiede che gli operatori siano sempre messi in condizioni di possedere competenze “mantenute” continuamente.
A questo livello è evidente che la risorsa di apprendimento ha a che fare con modalità di accesso alle informazioni prima di tutto: la persona deve poter accedere alle pratiche e tecniche professionali in modo diretto e deve essere messo in condizioni di capire che cosa va fatto e come farlo.
La domanda di secondo livello è quella della sperimentazione delle tecniche professionali in esperienza formativa in senso stretto.
Qui la mente va all’aula e alla sua, a mio avviso, irrinunciabilità oggi, in quanto luogo di apprendimento che genera focalizzazione sulle cose da imparare; per prima cosa, per esempio, le persone sospendono l’attività per andare in aula!
Certo, qui la tecnologia aiuta con supporti simulativi e app che arricchiscono molto le modalità di fruizione e sperimentazione delle competenze in apprendimento.
Vi è poi un ultima dimensione che è quella dello scambio nella comunità professionale di riferimento. È lì, in ultima istanza, che le persone mettono in campo i saperi teorici appresi in aula, adattandoli per renderli maggiormente efficaci.
Per riassumere, si tratta di strutturare esperienze di apprendimento a tre livelli, come la didattica tradizionale propone da anni:
sapere > accesso alle informazioni
saper fare > simulazione e sperimentazione delle competenze e delle tecniche in apprendimento
saper essere > scambio nella comunità professionale e consolidamento delle competenze
LA SOCIALORG È LA PIATTAFORMA ABILITANTE PER ECCELLENZA
In questo schema, quindi, come opera l’opportunità offerta dalla social organization?
Intanto incrociando processi collaborativi con la forza dei social media, di cui abbiamo parlato in un precedente articolo su questa rivista. Sul piano dell’informazione, le piattaforme di knowledge odierne offrono uno spazio in cui la persona “va a prendersi” autonomamente quello che le è necessario per operare, accrescendo il suo sapere in modo fluido ed efficace.
Sul piano delle simulazioni, le app offrono supporti di sperimentazione, anche attraverso pratiche challenge come i business game, che stimolano l’uso delle competenze in apprendimento in spazi sicuri in cui la persona può anche sbagliare. Sono peraltro risorse che spesso mettono in “gioco” i partecipanti fra loro, stimolando una forma di scambio già molto generativa
Ci sono poi le community professionali, in cui i membri possono scambiare micro saperi, soluzioni a problemi, spunti innovativi che alimentano il sapere di flow e arricchiscono il sapere organizzativo.
TECNOLOGIA OK, MA QUALCHE PAROLA CHIAVE ULTERIORE
Autonomia: le persone oggi hanno bisogno di muoversi liberamente alla ricerca delle informazioni che servono loro. Sistemi bloccati (tipo accesso web o social network) producono più inefficacia che sicurezza.
Competenze digital: dobbiamo abilitare le persone ad ambienti moderni in cui fruire di soluzioni simulative che si possano anche portare con sé, sugli smartphone, ad esempio.
Le community online sono un compromesso fra sapere tacito e sapere esplicito. Nelle community parlano le persone in chiave peer to peer condividendo sfide, problemi e idee. Cose che fanno normalmente al sicuro negli uffici e nei corridoi. Rendere questa dinamica esplicita vuol dire impegnarsi come management a non mortificare, censurare, fare leva sulla gerarchia. Pena la morte di quella opportunità di crescita!
*Ha iniziato a lavorare in azienda in ambito organizzazione e HR per poi passare alla consulenza. Appassionato dell’approccio etnologico, affronta l’azienda con un occhio attento alle sue “tribù”: le community. Esperto di Social business e SocialHR è partner Hitrea con cui segue progetti complessi di digital transformation. Il suo blog “Metaloghi organizzativi 2.0” è punto di riferimento di divulgazione sul tema della Social Enterprise.
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